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Kit di Sopravvivenza: Motivazione

Artwork di Background da “The Oregon Trail

Ciao gente! Qui è Ivan con il secondo articolo del Kit di Sopravvivenza: la raccolta di consigli, procedure e trucchi destinati ai giocatori, complementare alle Idee Salvachiappe per Master. Oggi abbiamo un tema meno pratico e più “filosofico”: parleremo della motivazione che ci spinge a giocare, di come riconoscerla e di come assecondarla.

Motivazione estrinseca e intrinseca

Per iniziare, un po’ di scienza. Tempo fa, un mio amico che studia psicologia (con specializzazione in neuroscienze) mi ha segnalato questo articolo del blog Cronache del Gatto sul Fuoco: il testo riflette su come alcuni GDR incentivano la buona interpretazione con punti esperienza extra, e cioè con quella che, in psicologia, si chiama motivazione estrinseca: spingere qualcuno a svolgere un compito (nel nostro caso, “interpretare bene”) promettendogli un premio in qualche modo slegato dal compito stesso.

L’articolo critica questo approccio, alla luce di un fenomeno di cui il mio amico psicologo conferma l’esistenza: se perseguiamo ricompense estrinseche, noi esseri umani percepiamo la nostra attività come un ostacolo fra noi e il premio, e quindi siamo più propensi a lavorare male – cercheremo di fare il minimo sindacale per portare a casa la “paga”. Perché ciò non accada, bisogna puntare alla motivazione intrinseca: svolgere un’attività perché eseguirla ci piace.

Meccaniche intrinsecamente belle

Per approfondire l’argomento ho guardato questo video del canale YouTube Extra Credits, che avanza questa tesi: nel videogioco perfetto ogni meccanica è intrinsecamente appagante. In particolare, mi ha colpito un esempio in negativo proposto nel video: i combattimenti di Final Fantasy VII, momenti ripetitivi che semplicemente separano i passaggi focali della trama. Appena l’ho sentito, ho notato che la medesima dicotomia, combattimento vs trama, sta dietro la grande bipartizione ideologica fra giocatori di ruolo:

  • Quelli cui piace che il combattimento sia un mini-gioco differenziato dalle altre regole;
  • Quelli che vogliono un unico set di regole per tutte le situazioni, senza sottosistemi.

E da lì mi si è accesa la lampadina: può essere che anche nei GDR le meccaniche ci forniscano una motivazione intrinseca? E che il piacere intrinseco alle meccaniche sia un metro di valutazione?
Secondo me sì, e ora vi spiego come!

Il salto di Mario è intrinsecamente divertente: sia le sue conseguenze concrete (la mobilità) sia la sua resa audio-video ci fanno sentire gratificati, capaci di muovere Mario in lungo e in largo.

Riconoscere la nostra motivazione intrinseca

A tutti noi è successo di divertirci molto con il gioco di ruolo X e di annoiarci a morte con quello Y, nonostante li abbiamo giocati entrambi con le stesse persone. Probabilmente, sul momento, avremo dato la colpa a cose come “La matematica è tutta sbilanciata!” o “Non mi piace fare personaggi del sesso opposto!” o “Se non c’è il GM mi sembra tutto confuso!” – motivazioni molto terra terra e molto di pancia, dettate dal momento.

Se ci fermiamo un attimo, però, riusciremo a esprimere motivazioni articolate e argomentate, che tengano in conto sia la situazione sociale al tavolo, sia lo svolgimento della specifica partita, sia il funzionamento specifico del gioco: “Non mi piace fare personaggi del sesso opposto se il mio ragazzo gioca con me! Mi sento a disagio!”, “I miei tiri di dado sono stati tutti sbilanciati rispetto alla media! È stato snervante!”, “Non mi piace fare il GM, per cui mi trovo male nei giochi in cui lo si è a rotazione”. Ecco, quando commentiamo il funzionamento di un gioco, dovremmo chiederci se è intrinsecamente divertente. Così facendo prenderemo coscienza di ciò che ci piace e saremo giocatori più maturi.

Un esempio di analisi post-partita

Torniamo alla questione combattimenti vs trama: supponiamo che Barbara abbia fatto una partita a Pathfinder e ne sia uscita annoiata. Si ferma un attimo a ragionarci su e identifica tutte le attività che hanno composto la sessione:

  1. creazione dei personaggi;
  2. una scena introduttiva di dialoghi liberi: ogni personaggio ha avuto un motivo personale per andare all’avventura.
  3. una scena di preparazione: noi giocatori abbiamo usato dei tiri di abilità per far ottenere ai personaggi le attrezzature e informazioni necessarie.
  4. un combattimento: i personaggi si scontrano con il primo nemico previsto dall’avventura.

Fatto ciò, si accorge che le prime tre attività, per la loro stessa natura, le hanno lasciato addosso sensazioni positive:

  1. la sfida intellettuale di tradurre il concetto di personaggio in regole del gioco;
  2. la meraviglia di dare vita al personaggio;
  3. la soddisfazione di far ottenere risultati al proprio personaggio, grazie alle capacità dategli nella fase 1.

La quarta fase, invece, le ha lasciato una sensazione negativa: è durata lo stesso tempo delle fasi 2 e 3 messe assieme, ma non ha fatto avanzare la trama in modo altrettanto significativo. Al contrario, ha prodotto poca fiction parcellizzata su numerosi tiri di dado e statistiche matematiche. In sostanza, Barbara l’ha vissuta come un allungare il brodo.

A ognuno la sua motivazione

Tuttavia, Anna potrebbe giocare una partita pressoché identica a Mostro della Settimana e avere le stesse sensazioni di Barbara… tranne che sul combattimento. Per Anna, le scene d’azione di Mostro sono tremendamente scarne e sbrigative: condensano tutto in due o tre tiri di dado su statistiche fissate, senza che manovre tattiche, aggressioni verbali o simili influenzino la matematica.
Ragionando così, Barbara e Anna hanno preso coscienza delle proprie motivazioni intrinseche: produrre tanta fiction per l’una, armeggiare con il crunch per l’altra. La prossima volta, ognuna si sceglierà un gioco adatto alla propria esigenza.

A quanto so, Anima Prime della Berengad Games è molto adatto ad Anna.

Conclusione

Lo studio scientifico della motivazione è vastissimo (vi segnalo giusto questa conferenza) e io non oso approfondirlo qui: non è il mio campo. Spero che quel poco che ho saputo spiegarvi vi sia di stimolo: capire cosa ci piace e perché ci piace è conoscere meglio noi stessi, e avere dei gusti definiti ci rende dei giocatori migliori. La prossima volta che provate un titolo nuovo, analizzatelo come nell’esempio e valutate se vi è piaciuto per una motivazione intrinseca: se sì, compratelo a mano basse! E poi fateci sapere, così ci diamo un occhio anche noi!
A presto con il prossimo Kit di Sopravvivenza!

Di Ivan Lanìa

Bearclaw95, alias Ivan Lanìa, classe 1995, scopre il GDR a 12 anni, ma inizia a praticarlo come si deve a 21; durante il 2016 vince il Game Chef, un concorso internazionale di game design, e con ciò gode dei proverbiali 15 minuti di fama. Grazie a quel momento di visibilità diventa un collaboratore dei designer indipendenti Roberto Grassi (Levity) e Antonio Amato (Mammut RPG), nonché di Storie di Ruolo.

Una risposta su “Kit di Sopravvivenza: Motivazione”

Era da tempo che non ricevevo i tuoi aggiornamenti. In realtà son partito dall’articolo successivo (perché la varietà fa bene al gioco). Trovo questo articolo molto interessante e ben fatto ma… posso fare l’avvocato del diavolo?
>La prossima volta, ognuna si sceglierà un gioco adatto alla propria esigenza.
E non troveranno nessuno con cui giocare }:)

Spesse volte si sceglie un gioco perché è l’unico che accontenta più o meno tutti (di solito si punta su D&D perché è quello che tutti conoscono, ma questo non è sempre vero). Non si è tutti soddisfatti al 100% ma è sempre meglio che non giocare 😉
È lo stesso discorso che facevano a suo tempo con Gamisti, Narrativisti e Simulazionisti che dicevano che ognuno doveva giocare col proprio gioco pensato per “quello”, ma all’atto pratico, si gioca con un gioco che possa andar più o meno bene a tutti e tre, se no sono da soli a giocare 😉

Ciao 🙂
PS: e mo’ vado a commentare pure l’altro.
PPS: ti segnalo che il pulsante di submit ed i checkbox per scegliere se essere avvisati o meno, scompaiono mentre scrivi commenti “lunghi” come questo.

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