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Cosa comporta un master a pagamento? – Editoriale

Se parlate di GDR sui social network, prima o poi avrete certamente letto degli annunci di master a pagamento; una pratica diffusa a macchia d’olio ma non molto popolare… almeno qui in Italia. Di recente, infatti, la testa finanziaria Bloomberg ha pubblicato The Rise of the Professional Dungeon Master, un articolo che fotografa la diffusione del fenomeno negli USA; a quanto pare il grande successo di vendite di Dungeons&Dragons 5 ha creato un ampio mercato per i DM professionisti, con fasce di prezzo che vanno dal “fast food” alla “haute cusine”. Noi di Storie di Ruolo non abbiamo (per ora) gli strumenti per condurre un’inchiesta equivalente in ambito italiano, ma abbiamo delle nostre riflessioni in merito. Questo breve editoriale è stato scritto per condividerle con voi.

Master a pagamento? E perché no?

Partiamo da un tabù ricorrente: che non sia etico ingaggiare qualcuno come compagno di gioco, e che quindi i master a pagamento lucrino su qualcosa di non commercializzabile. Questa posizione, secondo noi, è esagerata, visto che si fonda sull’idea che l’attività ludica sia uno spazio “sacro”, un contesto che deve essere dominato dalla gratuità. Se ci pensiamo, però, questa logica non vale per gli sport: è assodato che insegnare il nuoto, il tennis, il golf o il rugby sia un mestiere legittimo e remunerato, e nessun genitore pensa che pagare gli allenatori deturpi ai ragazzi il piacere del gioco. Nel bene e nel male, quindi, esiste già un mercato delle prestazioni ludiche, un mercato che nasce per soddisfare una domanda; per gli sport questa domanda esiste da almeno un secolo, per i GDR da tavolo è nata in questo decennio.
D’altra parte, c’è di sicuro differenza fra assumere un allenatore per imparare un gioco e pagare qualcuno perché giochi con noi da pari a pari. Salta alla mente l’immagine di Richie Rich, il protagonista della commedia omonima: un ragazzino senza amici che gioca a baseball con atleti professionisti ingaggiati dai genitori. Assumere un master a pagamento, probabilmente, fa sentire molte persone dei Richie Rich in miniatura: incapaci di portare avanti un rapporto amicale fino al livello di compagni di gioco, e quindi costretti a procurarsi un surrogato.

Un caso umano rilevante
Richie Rich è stato una parte minore di Macaulay Culkin, lo sfortunato bambino prodigio. Immagine da Wikimedia Commons.

Questa riflessione è sensata, ma non tiene in conto di un importante fattore: in molti GdR chi gioca come master deve padroneggiare tutte le regole e produrre una quantità consistente di contenuti, rendendo di fatto asimmetrici per complessità i ruoli di GM e di giocatore (tanto che certi regolamenti sostituiscono all’ormai generico “game master” dei più precisi “arbitro” o “maestro di cerimonie”). La conseguenza ovvia è che i contributi del master danno il La a quelli degli altri giocatori (non a caso Trollbabe paragona il master al bassista di un gruppo rock) e che spesso il master, volente o nolente, deve pure insegnare il regolamento ai neofiti – di fatto deve fungere da allenatore. Data questa premessa, non è così strano che un giocatore novellino decida di assumere un master a pagamento già esperto, assicurandosi un primo impatto soddisfacente con il GdR: meglio andare in piscina che tuffarsi in mare e o annegare o galleggiare!

Un cambio di paradigma

Al di là della motivazione, però, assumere un master a pagamento ha delle implicazioni notevoli sul piano sociale. In un gruppo di amici, infatti, le asimmetrie di ruoli in gioco si inseriscono nel quadro di relazioni preesistenti: chi fa da master potrà anche fungere da insegnamente o guida del gruppo ludico, ma non per questo smette di essere un amico (quindi un parigrado) degli altri. Un master a pagamento, invece, avrà con il suo gruppo un rapporto professionista-cliente, come è giusto e con tutte le conseguenze del caso: i giocatori non potranno prendersi confidenze eccessive con il GM (come non le prendono con un allenatore), né potranno giocare in modo troppo rilassato, o rischieranno di impantanare la sessione e sprecare il pagamento. E di converso il GM vivrà il gioco come una performance, di cui dovrà garantire il livello: niente sbavature, niente tempi morti, massimo coinvolgimento. A tal proposito l’articolo di Bloomberg spiega che i master a pagamento più di successo capitalizzano su capacità rifinite in ambito recitativo-teatrale, grazie alle quali attirano l’altro grosso bacino di utenza (oltre ai neofiti): i gruppi in cui nessuno vuole fare da master, o che cercano un master estroso per giocare campagne raffinatissime. In questi casi l’enfasi è posta non sulla didattica, ma sull’alta qualità del gameplay, il che porta a un’altra conseguenza rilevante: in un gruppo di amici le partite sono frutto degli input di tutti che si intrecciano in un insieme coeso, invece un master a pagamento (giustamente) preparerà un porfolio di avventure (o materiali equivalenti) attentamente ottimizzate, frutto di continui collaudi, e le riprodurrà per i suoi clienti – di fatto trasformando l’interscambio creativo fra tutti nella fruizione di un contenuto “d’autore” già dato. Una dinamica simile impatta profondamente su pressoché tutti i giochi in commercio, anche quelli che supportano attivamente l’uso di avventure commerciali: in un gruppo di amici il materiale acquistato viene comunque tarato sui gusti di tutti, invece un master a pagamento venderà (necessariamente) tanto il suo materiale quanto l'”esecuzione” in partita: sono quindi i giocatori ad adattare il proprio gusto a quello del GM, in un rapporto unidirezionale. E in effetti non potrebbe essere il contrario… a meno che i giocatori non paghino espressamente per contenuti personalizzati, con un incremento proporzionato della spesa.
Riassumendo, l’asimmetria sociale (non più solo di ruolo ludico) insita nel mastering al pagamento si propaga necessariamente sull’esperienza ludica, sostituendo l’interscambio con la performance e la fruizione della performance – un cambio di dinamica che condiziona il feeling di qualunque gioco.

Tirando le somme…

Dal nostro punto di vista, non c’è nulla di “non etico” nel mastering a pagamento: si tratta di una vendita di servizi per rispondere a una domanda legittima. Di sicuro, però, pensiamo che la professionalizzazione dei master renda diverso il feeling delle partite: non per forza migliore né peggiore, ma sicuramente diverso. Chi decide di imbarcarsi in questa carriera, così come chi assume un GM, deve tenerne conto: la sua esperienza di gioco non sarà più quella cui era abituato.

Ci risentiamo con un nuovo editoriale per il prossimo tema caldo!
Ivan

Di Ivan Lanìa

Bearclaw95, alias Ivan Lanìa, classe 1995, scopre il GDR a 12 anni, ma inizia a praticarlo come si deve a 21; durante il 2016 vince il Game Chef, un concorso internazionale di game design, e con ciò gode dei proverbiali 15 minuti di fama. Grazie a quel momento di visibilità diventa un collaboratore dei designer indipendenti Roberto Grassi (Levity) e Antonio Amato (Mammut RPG), nonché di Storie di Ruolo.

2 risposte su “Cosa comporta un master a pagamento? – Editoriale”

Io l’ho fatto circa vent’anni fa. Ho risposto ad un annuncio di un gruppo piuttosto nutrito di giocatori e ci siamo divertiti per tutta la durata della campagna. Inizialmente venivo pagato a fine serata, il mio compenso era più simbolico che altro, alla fine mi pagavano da bere. È stato divertente e ho imparato molto da quel gruppo, cosa volevano e come fare per realizzare al meglio le richieste per l’ambientazione e il resto. Lo rifarei volentieri.

Io l’ho fatto e di tanto in tanto mi capita ancora.
Soprattutto in questo periodo dell’anno, prefestivo, in genere con gruppi di giocatori abbastanza giovani e ‘vecchi’. Tendenzialmente laureandi frai 25 e 30 anni e over 40 più che esperti di gdr e che vogliono una esperienza un po’ diversa dal solito amico che fa il master.
Al massimo in Italia il problema è concordare il prezzo, qualsiasi cifra è sempre e comunque sbagliata. Se si chiedono anche solo 50 euro sembra di chiedere il primogenito in sacrificio, se si chiede una cifra bassa viene comunque pretesa una performance da opera irica alla Scala di Milano.

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