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Il problema delle parole immersione e divertimento: una talk di Francesco Rugerfred Sedda

Bentornati sulle pagine digitali di Storie di Ruolo per un contenuto molto originale e importante: oggi pubblichiamo la transcrizione tradotta in italiano della talk di Francesco Rugerfred Sedda dal titolo «The Problem with the Words “Immersion” and “Fun”»: «Il problema delle parole “Immersione” e “Divertimento”».

La trascrizione è opera di Claudia Pandolfi, ricercatrice e attivista dell’ambito ludico, che ha incluso una citazione alla talk nella sua tesi di laurea dal titolo “Gamification: il gioco per crescere professionalmente. Teoria e applicazioni nella società digitale.”

La talk è stato un punto fondamentale per me in primis, ma anche credo per tutto il mondo del game design. Avendo già trattato dell’argomento “divertimento” su questo blog in tempi non sospetti, ma anche il problema dietro la parola immersione, siamo stati super onorati di collaborare con Rugerfred e Claudia per pubblicare questa trascrizione tradotta.

Per l’occasione, abbiamo rivolto loro qualche domanda, anche per fornire un contesto sia della talk che della sua traduzione.

Prima del post, vi lasciamo il link diretto alla talk, registrata durante il Knudepunkt del 2019, famosa conferenza annuale che tratta di LARP e giochi di ruolo in generale.

La talk sulle parole Immersione e Divertimento per Rugerfred Sedda

Francesco Rugerfred Sedda è un game designer e un amico di Storie di Ruolo. Il suo curriculum parla da sé: laureato in Media Design & Multimedia Arts, ha ottenuto il master in Game Design & Theory presso ITU — University of Copenhagen. Attualmente lavora a Torino come Game Designer & Developer per Try a Game. Tra i suoi lavori spiccano Marvel United (CMON) per il quale ha curato lo sviluppo.

Storie di Ruolo: «Da dove nasce l’idea per la talk su immersione e divertimento?»

Rugerfred: «L’idea che il medium ludico possa offrire di più rispetto al mero intrattenimento ed escapismo l’ho internata da parecchi anni ormai. Basti pensare che il mio gioco di ruolo sulla malattia terminale fu pubblicato nel 2014».

«Partecipando a molte convention e conferenze, mi son reso conto che spesso si finiva nelle discussioni di gruppo a parlare di quanto problematico fosse riferirsi a giochi solamente in termini di divertimento e immersione. Aver vissuto, studiato, e lavorato in Danimarca per 4 anni ha decisamente spinto ulteriormente avanti questo mio approccio al gioco».

«Da assistente insegnante della ITU di Copenhagen per il corso di Game Design, inoltre, mi sono trovato molto in sincronia con il contenuto pianificato da Miguel Sicart. Miguel è autore del libro Play Matters, oltre che docente di Game Design e Play Design. Aggiungiamo a questo il fatto che la parola immersione negli ultimi anni ha avuto un boom insensato e distorto… ed ecco il perché della talk!»

«La talk solo in superficie sembra cercare di risolvere entrambi i problemi in un colpo solo. In realtà vuole aprire ad una conversazione collettiva su questi due temi».

Storie di Ruolo: «Da quando hai tenuto la talk è cambiato qualcosa?»

Rugerfred: «In parte sì. Leggo e vedo sempre di più conversazioni su questi temi ma, se devo essere onesto, credo sia più una naturale evoluzione e comprensione del medium ludico, che merito diretto della mia talk».

«Probabilmente ho contribuito al discorso sul tema, questo sì. Avendo partecipato a varie interviste e panel proprio su questa questione, ho avuto modo di rifletterci. Ma non ho la presunzione di aver cambiato l’opinione della community italiana sulla cosa».

«Il problema non è legato unicamente al gioco, fra l’altro: credo sinceramente che la questione del capire cosa sia la “normalizzazione” debba essere al centro del dibattito contemporaneo in moltissimi settori (ben più importanti del gioco)».

Storie di Ruolo: «Qual è la reazione che meno ti aspettavi alla talk da parte delle persone?»

Rugerfred: «In realtà parto sempre con molto entusiasmo, ma poche aspettative. Cambiare i paradigmi sistemici su temi largamente diffusi, come nel caso di “immersione” e “divertimento”, è una corsa in salita».

«Do per scontato che l’impegno richiesto per “remare contro” ciò che è normalizzato sia alto. Sono sicuramente felice di leggere e vedere diverse persone (nel settore e non) che mi scrivono per dirmi che si approcciano al gioco in modo più critico dopo i miei interventi sul tema».

«Dall’altro lato, vorrei poter dire che non mi aspettavo feroci critiche, ma mentirei. Per moltissima gente (anche, purtroppo, figure di spicco nel settore) il gioco è ancora un medium unicamente orientato al divertimento. Questo crea inevitabilmente conflitti nel momento in cui la mia posizione viene presa come mutualmente esclusiva della loro».

«Il punto è che non ho mai detto che i giochi fatti per escapismo o mero intrattenimento dovrebbero sparire, ma per molte persone la stessa esistenza di giochi su temi “delicati” è a quanto pare una minaccia al proprio giocare».

Claudia Pandolfi

Claudia Pandolfi si descrive così: «Giocatrice di ruolo da quando suo padre la introdusse, bambina, ad Advanced Dungeons & Dragons e appassionata anche di giochi da tavolo e videogiochi. Attivista femminista e queer, porta avanti in Veneto il progetto Queer Box. Nel 2018 ha unito queste due parti della sua vita fondando il gruppo di ricerca sulle discriminazioni nel mondo ludico Donne, Dadi & Dati».

Storie di Ruolo: «Come è nata l’idea della trascrizione di questa talk su immersione e divertimento?»

Claudia: «Conosco Rugerfred da qualche tempo e, proprio come dice nella talk, come a tanta altra gente mi è capitato di parlare con lui della problematicità dell’uso di “divertente” come descrittore positivo di un gioco».

«Il suo modo diretto e appassionato di esporre la questione è illuminante. Il suo bagaglio di conoscenze e risorse preziose su questi argomenti è sconfinato, e quando ho saputo che esisteva la registrazione di una talk in cui sviscerava questo tema specifico ho subito pensato che meritava di essere condivisa ed ascoltata da più gente possibile!»

«Purtroppo la durata del video, l’assenza di sottotitoli e la lingua inglese rappresentano un ostacolo per alcune persone. Ho quindi colto l’occasione, un giorno che avevo bisogno di citare le parole di Rugerfred all’interno della mia tesi di laurea, per trascrivere e tradurre tutta la talk».

Storie di Ruolo: «Lo chiedo anche a te: da quando hai sentito e trascritto la talk è cambiato qualcosa nel panorama, a tuo parere?»

Claudia: «Credo che sia stata proprio quella chiacchierata con Rugerfred a una fiera di qualche anno fa a farmi riflettere per la prima volta sull’impatto del linguaggio sulla cultura ludica. E sulla percezione di questa da parte sia della community che delle persone che la guardano da fuori, ovviamente».

«Mi ha fornito un’ulteriore prospettiva sul ruolo delle emozioni nell’attività ludica. Sono felice che quei concetti esistano in una versione estesa, approfondita e soprattutto condivisibile: sono certa che risulteranno arricchenti per tanta gente come lo sono stati per me».

Storie di Ruolo: «Qual è la reazione che hai avuto quando l’hai sentita per la prima volta?»

Claudia: «Ho pensato “wow, non ci avevo mai riflettuto, ma è dannatamente vero! Le parole fanno davvero la differenza tra sfiorare la superficie e andare più a fondo nelle cose”. Certo: non avrei creduto, allora, che un giorno avrei citato Rugerfred in una tesi di laurea, ma sapevo che mi sarebbe piaciuto far conoscere ad altre persone quello che avevo imparato da lui».

Ed ora vi lasciamo alla
trascrizione della talk.

A questo link la transcrizione inglese.

Il problema di Immersione e Divertimento di Francesco Rugerfred Sedda

Dunque. Ciao! Io sono Ruger e questa sarà una talk un po’ particolare nella struttura, non sarà effettivamente una talk. La prima parte sarà una breve talk, in effetti, ma la seconda parte sarà più simile ad una discussione aperta, perché ci sono dei problemi e io non so come risolverli. Quindi spero davvero, nell’ultima parte, che ne discuteremo e magari potremo trovare delle soluzioni.

Comunque, un po’ di contesto. Alcunɜ di voi mi conoscono ed è altamente probabile che, se mi avete incontrato ad un evento prima d’ora, abbiamo parlato di divertimento e immersione, generalmente perché ho reagito molto male a questi temi.

Quindi, da dove viene questa cosa? Un po’ di contesto. Dunque, io chi sono? Sono un game designer, un game consultant; lavoro su tipologie molto diverse di giochi, dai giochi da tavolo ai giochi di ruolo ai videogiochi ai giochi in realtà virtuale, giochi ibridi, LARP urbani, giochi pervasivi, LARP blackbox, beh, LARP da camera… Roba varia!

E, giusto per essere chiaro, questo è un problema che ho riscontrato in tutti questi contesti. Non è un problema legato esclusivamente ai LARP; in passato, tuttavia, ho pensato che il dibattito in ambito LARP sia parecchio più avanti su questo argomento rispetto agli altri ambiti, quindi siete le persone giuste per risolvere questo problema, credo.

Quindi, un’altra breve introduzione, e questa è su cosa spero di ottenere con questa talk. Nel lungo termine spero di cominciare qualcosa o contribuire a qualcosa che migliorerà la alfabetizzazione ludica. Lo so che è una cosa immensa, lo so che ci sono un sacco di persone che lo stanno facendo, e stanno facendo un lavoro pazzesco e io spero che un frammento di questo possa contribuire alla alfabetizzazione ludica globale sul gioco. 

La seconda cosa in cui spero davvero è che raggiungeremo una sorta di denormalizzazione delle parole “immersione” e “divertimento”. Può suonare assurdo, adesso, ma spero che sarà chiaro il motivo per cui ho questa speranza dopo che ne avremo parlato un po’.

Spero anche che arriveremo, insieme con voi e in una discussione aperta, a qualche proposta, a studiare qualche attività, a studiare soluzioni con cui possiamo cominciare ad affrontare e risolvere il problema a livello pratico.

E l’ultima è un po’ più personale, e cioè che voglio davvero sentirmi meno frustrato, meno come se conducessi una crociata contro della roba che non posso sconfiggere. Perché queste cose (il divertimento e l’immersione) non sono cose che io voglio sconfiggere; si tratta di cose, però, che appaiono così grandi e cristallizzate nella società che le percepisco come parecchio difficili da cambiare.

E il processo sarà lungo, un passo alla volta, e un giorno, forse, non sarò più frustrato da questa cosa. Ma non mi dilungherò oltre su questo, lo prometto -—cioè, adesso, qui, ma possiamo sederci al bar insieme e io potrò sicuramente lagnarmene.

Allora, cominciamo con l’Immersione. Il problema con la parola “immersione”: non significa niente. La gente usa “immersione” con scopi molto diversi, e il suo utilizzo, come parola-chiave, come trucchetto, può significare tutto e niente allo stesso tempo.

Questo, io credo, è veramente un problema, perché persone differenti parlando di LARP differenti e quanto immersivi fossero e di quanto sia immersivo il loro LARP, e in realtà stanno intendendo cose molto diverse, ma usando la stessa parola e questo crea un problema nella conversazione. Magari dite “oh, sono andatə a questo LARP ed è stato pazzesco, così immersivo!” e io ci sono andato e non l’ho trovato immersivo. Perché? Come? Com’è possibile? È un problema del LARP? No, non lo è.

Chi di voi ha familiarità con il Player Involvement Model (letteralmente “Modello del Coinvolgimento di Chi Gioca”, ndt) di Gordon Calleja? Alzate la mano. Ok. Prometto che questa non sarà una talk accademica, analizzerò rapidamente questi punti perché trovo che il lavoro di Gordon Calleja su questo argomento sia estremamente utile.

Prima di tutto, questo modello proviene da un libro intitolato In game. From immersion to incorporation, di Gordon Calleja. È un libro che parla di teoria del videogioco, ma quando l’ho letto l’ho trovato utile in modo ASSURDO per il dibattito nel mondo LARP e nessunə, quasi nessunə nella scena LARP ne parla. Sarah Lynne Bowman ne parla e vedremo il suo lavoro tra un secondo.

Ma vediamo questo modello. Quindi, ciò che Gordon Calleja afferma, provenendo dall’ambiente della Realtà Virtuale (o VR, ndr), del videogioco, della Realtà Aumentata, è che questo “valore immersivo” è stato lanciato nel dibattito sulla VR ed è effettivamente problematico, perché non significa niente. Un sacco di aziende che si occupano di VR dicono “il nostro gioco è il gioco più immersivo” oppure “il nostro videogioco rappresenta l’esperienza più immersiva che potrete mai fare”.

Quindi, ciò che ha fatto è stato praticamente prendere il concetto e scomporlo in sei aree differenti (Coinvolgimento Cinestetico, Coinvolgimento Spaziale, Coinvolgimento Condiviso, Coinvolgimento Narrativo, Coinvolgimento Affettivo, Coinvolgimento Ludico) e quando si ha la possibilità di parlare di queste aree che lui definisce “coinvolgimento” è DECISAMENTE più chiaro di cosa si sta parlando.

Partiamo con il Coinvolgimento Cinestetico. Allora, il coinvolgimento cinestetico, come suggerisce il nome stesso, è il coinvolgimento fisico che si sperimenta in un’attività. Può essere un LARP, può essere tipo un boffer LARP, con le armi imbottite; può essere uno sport, si è cinesteticamente coinvoltɜ nello sport; può essere un torneo di Dance Dance Revolution, per esempio; può essere l’uso dello WIImote; può essere un’esperienza VR full-body. Ok?

“Coinvolgimento cinestetico” si riferisce a tutte queste attività. Si riferisce anche a quando stai giocando con il controller, con solo le tue dita: sei comunque cinesteticamente coinvoltə, magari parecchio meno che in un boffer LARP, forse, ma è comunque un fattore.

Coinvolgimento Spaziale. È principalmente ciò a cui ci si riferisce con i 360°, con l’alta risoluzione. È “sto giocando in un castello” ed è un vero castello, “sto giocando in una nave spaziale” e non è una nave spaziale, è un cacciatorpediniere, nel caso di “Monitor Celestra”, che è stato riprogettato come fosse una nave spaziale, poiché giocherete solo all’interno della nave.

Ma si riferisce anche al design dei livelli, al design dei dungeon. Si può giocare a Dungeons & Dragons e a giochi di ruolo da tavolo e sentirsi spazialmente coinvoltɜ dalle descrizioni, come se fossimo circondatɜ dal gioco, ok? 

Può anche essere un blackbox. I LARP blackbox possono essere spazialmente coinvolgenti, solo che lo fanno tramite la luce invece che con la sola scenografia. E, beh, i videogiochi lo fanno tramite il level design, generalmente; questa è la sensazione a cui si riferisce il coinvolgimento spaziale.

Poi abbiamo il Coinvolgimento Condiviso. Il coinvolgimento condiviso è il coinvolgimento che si verifica quando si gioca con amici e amiche, per esempio; tipo, diciamo che siamo buoni amici, giochiamo insieme un LARP: io sono già più coinvolto perché non ho partecipato da solo, e non mi sento, come dire, in un angolo come se non conoscessi nessunə.

Sto giocando con i miei amici e le mie amiche, quindi sono già più coinvolto nelle attività. Magari è una delle mie amicizie ad averlo organizzato. Magari c’è un personaggio con una camicia hawaiiana. Può anche riferirsi a personaggi, PNG, nei videogiochi agli avatar, alle entità digitali. Magari c’è una lunga serie di videogiochi, io li ho giocati tutti, e quando esce l’ultimo capitolo, ho già familiarità con i personaggi e ne sono coinvolto. Quello è il coinvolgimento condiviso.

Il Coinvolgimento Narrativo è il coinvolgimento con la storia, la trama, i segreti. Può essere tipo un’investigazione in un videogioco, come dare la caccia all’assassinə, per esempio. Ma può anche essere il classico parlor LARP, nel quale si ha il proprio segreto e si vuole scoprire anche i segreti che le altre persone hanno per ostacolarci o qualcosa del genere. È il coinvolgimento del tipo “voglio sapere cosa sta succedendo, voglio sapere come la cosa andrà a finire”.

È simile al Coinvolgimento Affettivo, ma anche molto diverso. Il coinvolgimento affettivo è il coinvolgimento con le proprie emozioni, le cose che ci fanno ridere, quelle che ci fanno piangere, che ci rendono felici. Il fatto è, si può avere una storia con una trama davvero molto basilare e avere un enorme coinvolgimento affettivo, o viceversa, pensate per esempio ai giochi jeepform. Chi conosce, qui, i giochi jeepform? Alzate la mano se li conoscete.

I giochi jeepform hanno una trama davvero molto banale, potremmo dire, praticamente niente trama, tipo una premessa: “state giocando questa scena”, tutto qui. Non c’è narrazione in ballo, qui, ma c’è un sacco di coinvolgimento affettivo. Oppure si può leggere una lunga storia che ci interessa anche, del tipo “sto risolvendo un omicidio”, ma non si empatizza con nessun personaggio, quindi non c’è coinvolgimento affettivo.

Infine abbiamo il Coinvolgimento Ludico, il coinvolgimento con le meccaniche: si lanciano dadi, si giocano carte, si personalizza il proprio robot in “Armored Core”, per esempio. O si compone il proprio party in un JRPG, o ancora, in un’escape room, si tenta di risolvere l’enigma e lo si trova stimolante, coinvolgente. 

Tutto questo è immersione. Solo che usiamo una singola parola per tutte queste cose, e questo è davvero ingiusto, perché il secondo problema è dato dall’utilizzo di “immersione” come un descrittore positivo.

Allora, alzi la mano chi ha usato “immersione” come termine per parlare positivamente di un gioco, per favore. Ora alzi la mano chi ha utilizzato “immersione” per parlare negativamente di un LARP, tipo “questo gioco era immersivo, bleah, ha fatto schifo!”. Nessunə?

Quindi, usate “immersivo” -no, non solo voi, intendiamoci: chiunque usa “immersivo”- per dire “questo è un bel gioco”.

Ma cosa significa “un bel gioco”?!

Dovremmo pensare che, siccome era immersivo, allora era un bel gioco? L’immersione è altamente soggettiva. Della serie, un gioco può tentare di avere meccaniche che ti coinvolgano, ma se non sei il tipo di persona a cui piace lanciare dadi, un gioco di dadi non ti coinvolgerà. Se sei una persona che ama giocare i JRPG e costruirti il party, cavolo, tutto questo può coinvolgerti un sacco! Ok? Ma, sì, è molto soggettivo.

E il descrittore positivo ci conduce qui. Un sacco di gente parla dell’immersività come la cosa migliore: “i migliori giochi immersivi”, “quali giochi da tavolo trovate più immersivi?”. Tutto questo è FOLLE!

Il passo successivo è questo: troppe aziende definiscono il proprio lavoro “immersivo”. Si tratta di uno specchietto per le allodole, una parola pubblicitaria, sta lentamente perdendo il suo significato. Ha avuto un significato potente quando era usato nel contesto del LARP, anche nella scena finlandese, perché indicava quasi un punto di rottura con la roba precedente, con il nastro adesivo telato, e, beh, voi lo saprete probabilmente meglio di me. Ma adesso, adesso sta diventando sempre più una parola da marketing, tipo “bene, noi abbiamo i migliori giochi immersivi, venite da noi: super-immersivi!”. Questo è un problema.

Se volete approfondire l’argomento, vi suggerisco caldamente “Immersion into LARP” di Sarah Lynne Bowman, è un articolo, e il libro di Gordon Calleja (“In-Game”). Ne ho parlato molto; concordiamo sul contenuto, in generale, ma non concordiamo con la soluzione e di questo parleremo nella parte dedicata alla soluzione.

Dunque, il prossimo argomento della talk è il problema con la parola “divertimento”. Anche questa non significa nulla. Chi, fra voi, ha usato “divertente” come modo per dire “era un bel gioco”? Alzate la mano, per favore.

Chi, fra voi, ha usato “divertente” per dire “era un brutto gioco”? Nessunə. Già! È questo quello che succede. È come per “era un bel gioco”: non dice NIENTE. Non dice davvero niente.

Se io dicessi “oh, dovresti proprio provare quel gioco, è stato troppo divertente!”, tipo, non starei dicendo niente. Abbiamo delle parole per questo! Ci sono così tante parole che possiamo usare per esprimere le emozioni, perché riduciamo sempre tutto a “divertente”? Ci sono così tanti tipi diversi di divertimento.

Il Problema con le parole immersione e divertimento di rugerfred sedda claudia pandolfi storie di ruolo giochi di ruolo Emotion Wheels

Siamo addirittura arrivatɜ a dire “divertimento di tipo due”, questo è ASSURDO! Abbiamo così tante parole per esprimere tutto lo spettro delle emozioni negative, e si usa ancora “divertimento di tipo due”? Questo perché il ragionamento è: “era un gioco divertente, quindi era un bel gioco. Ma se il gioco non trattava un tema divertente, allora non è più un bel gioco? Forse dovrei dire ‘divertimento di tipo due’, così è ancora un buon gioco!”. Usiamo “divertente” perché la colleghiamo a “era un bel gioco”, e questo è problematico. 

Perché può trattarsi di un gioco pazzesco anche se fosse, tipo, un’esperienza terribile e triste! C’è un paper di Markus Montola, era intitolato The positive negative experience in extreme role-playing (“L’esperienza negativa positiva nel gioco di ruolo estremo”, ndt), e lì spiega perché si possono avere esperienze meravigliose con LARP che parlano di qualcosa di terribile, che non si vorrebbe MAI provare nella vita vera. A proposito dei giochi jeepform, anch’essi parte di questa gamma di esperienze.

Abbiamo così tante parole, perché usiamo ancora “divertente”?

Perché, di cosa stiamo realmente parlando quando diciamo “un gioco è divertente”? Non stiamo parlando del gioco, stiamo parlando del giocare. Un gioco è un insieme di regole, un ecosistema di meccaniche. Il giocare è ciò che si trova divertente. E abbiamo davvero bisogno di separare le due cose. Perché ci si può “divertire” con giochi terribili.

Il Problema con le parole immersione e divertimento di rugerfred sedda claudia pandolfi storie di ruolo giochi di ruolo Game Play MDA Model

Io penso in tutta onestà —e ci ho giocato tanto— che Dungeons & Dragons sia un gioco terribile, che abbia un terribile game design. Ma ci si può passare sopra parecchi bei momenti! E viceversa ho dei giochi di cui apprezzo davvero tanto il game design, e li adoro e ne potremmo parlare per ore, che non giocherò mai più, perché non voglio giocarci, perché non mi danno il tipo di esperienza che mi piace. Ma guardando al design, cavolo se sono bei giochi!

E questo è così radicato che persino nell’MDA -che è uno dei principali modelli strutturali di game-design usati e sta per “Mechanics-Dynamics-Aesthetics” (“Meccanica-Dinamica-Estetica”, ndt)- si parla di divertimento! Ok? Quindi, di nuovo, divertimento come descrittore positivo.

Cosa implica questo? Implica il concetto di “era un gioco divertente” -ancora- “quindi era un bel gioco”. E se il gioco fosse stato un gioco sulla tortura? O sulle relazioni abusive? O sul sistema oppressivo sul versante cubano della guerra fredda, verso le persone queer? È sempre divertente? Ci sono persone che dicono “non si può fare un gioco su questo argomento”.

Beh, che si fottano: si può! Certo che si può! È stato fatto: il LARP è un medium, dobbiamo mettercelo in testa; il LARP non è solo un gioco che si fa per intrattenimento. Si può fare, non sto dicendo che dovremmo smettere di giocare giochi felici, non è questo il punto. Anzi, SI DOVREBBE.

Abbiamo un bisogno pazzesco, adesso, di giochi confortanti, di giochi felici, di esperienze positive: c’è davvero bisogno di tutto ciò! Non sto dicendo non si dovrebbe farne. Ma abbiamo realizzato libri che parlano di roba terribile, fumetti, film. Nessunə dice “è un fumetto, non si può fare un fumetto su…” (sullo schermo si può vedere, tra gli altri, la graphic novel “MAUS” di Art Spiegelman sull’olocausto, ndt). Beh, lo sapete. Certo che si può.

Tuttavia, ogni cosa ha delle conseguenze. Perciò, se fate un gioco che tratta questi temi, non fatelo solo perché “sì, posso, quindi lo faccio”. Avete bisogno di fare dell’opportuna ricerca, avete bisogno di parlare con la gente. Questo è tutto un altro argomento su cui non mi focalizzerò qui. Se siete game designer, per favore, fate il vostro lavoro di ricerca e sviluppo, per favore, parlate con la gente.

Se volete saperne di più su questo, c’è questa talk, “You can’t make a game about that” (“Non si può fare un gioco su quello”, ndt), che spiega perché SI DOVREBBE fare un gioco su quello, di Richard Dansky.

C’è “This might sting a little” (“Questo potrebbe fare un po’ male”, ndt) di Tobias Wrigstad, che è anche un autore nel movimento jeepform.

C’è “The positive negative experience in extreme role-playing” di Markus Montola e, sempre sulle conseguenze —chi è al corrente di cosa è successo alla WorldCon 75? Alzate la mano. Nessunə? Ok.

La WorldCon è una convention dedicata alla fantascienza. Credo fosse un anno fa… 2017, due anni ormai. L’avevano organizzata in Finlandia, se ricordo bene, e nel programma —era un programma piuttosto progressista, a dire il vero: non era solo presentazioni di libri di fantascienza, ma anche giochi- il tema era “alienazione”.

E un designer di LARP portò un LARP sull’Alzheimer, e certa gente disse “non si dovrebbe fare un gioco su questo, non è qualcosa di cui c’è bisogno di prendersi gioco”. Ma il gioco non era divertente, non era stato pensato per ridicolizzare l’argomento, era stato pensato per -lo sapete, avete dimestichezza con i LARP tristi, no?

Già, questo è il punto. Il punto è che era così radicata l’idea “è un gioco → dovrebbe essere divertente → questo è un tema non divertente → non si dovrebbe fare un gioco su questo tema” che ciò che hanno fatto, in pratica, è eliminare il gioco dal programma. Questo è ciò che è accaduto, questo è un problema reale.

Voglio dire, naturalmente ci sono problemi più grossi, non sto dicendo il contrario, ma questo è un problema che noi, che lavoriamo nei giochi, abbiamo bisogno di affrontare. E c’è bisogno di una soluzione.

Io non la conosco, sono qui per parlarne con voi adesso: questa è la discussione, ok? La talk è finita! È solo che… Io non so come risolverlo! Quindi, si dia inizio alla discussione, per favore.

Di SpiritoGiovane

Daniele, a.k.a. Spirito Giovane, aspirante game designer e scrittore. Ha una tonnellata di altri interessi, come romanzi di genere, cinematografia, serialità televisiva, fumetti e fotografia di panorami (e troppo poco tempo per curarli tutti quanti). Nel 2014 ha fondato Storie di Ruolo per condividere i suoi sbagliati pensieri sui giochi di ruolo e sulla teoria dei gdr. Col tempo il blog si è ampliato, includendo anche interviste a eminenze dell'ambito gdr e news variegate.

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