Categorie
Esperienze

I generi del Gioco di Ruolo

Se come me siete dei videogiocatori saprete sicuramente la differenza tra un RTS (Real Time Strategy), un’avventura grafica, un Metroidvania o un videogioco di ruolo. Allo stesso modo, se giocate ai giochi da tavolo conoscerete le differenze fra gioco cooperativo e competivo, fra German e American , tra filler e “gioco mattone” (o “cinghiale”, come li chiama Edoardo). Se siete giocatori di ruolo, invece, le cose si complicano: a differenza degli altri media ludici, il GDR non ha al suo interno dei generi convenzionali in cui classificare i singoli titoli. Oggi vi spiegherò perché, secondo me, sarebbe bene averne.

I generi nei media ludici

È un dato di fatto: non a tutti piace tutto e i giochi (analogici o digitali) non fanno eccezione. Quando ci interessiamo a un nuovo videogioco o gioco da tavolo vogliamo sempre sapere come funziona, così da valutare se rientra o no nei nostri gusti. Nella maggior parte dei casi, però, non cercheremo subito una recensione approfondita, bensì il genere del gioco: l’archetipo di meccaniche già codificate che meglio descrive il suo gameplay. Solo dopo, ricondotto il gioco a informazioni che già conoscevamo, ci informeremo su cos’ha quel titolo in più rispetto all’archetipo, quali elementi nuovi lo rendono unico. È per questo che descrizioni come “È un picchiaduro a incontri 3D di scherma” o “Devi formare scale come nel ramino, ma in cooperativa” funzionano bene. Perché esprimono in una volta sola sia il genere del gioco sia la sua particolarità più evidente.

Sicuramente i generi ludici hanno dei contro: a volte un game designer rinuncia a creare meccaniche originali e pubblica un gioco banale, con solo gli elementi minimi del genere prescelto. Altre volte in un genere nascono dei sottogeneri, se un certo tipo di meccaniche diventa frequente ma non standard – e troppi sottogeneri creano caos. Certi titoli, poi, sono ibridi e stanno al confine fra un archetipo e un altro, quindi descriverli per generi non è sempre ottimale. Altri, infine, danno vita a un genere tutto nuovo, per cui rimango eclettici finché il loro nuovo archetipo non si codifica. Tuttavia, questa classificazione resta estremamente utile, perché permette a noi giocatori (video- e da tavolo) di capirci in fretta e con poco sforzo.

Dissidia e Hanabi sono due giochi con forte identità descrivibile per generi.
Per inciso, questi sono il “picchiaduro a incontri 3D di scherma” e il “gioco simil-ramino cooperativo”.

Il genere sulla base dell’ambientazione

Le cose cambiano nel gioco di ruolo, in cui, nella mia esperienza, manca una divisione per generi. O meglio, la divisione per generi più diffusa si basa sull’ambientazione che il gioco propone, o meglio ancora sull’estetica dell’ambientazione: ci sono giochi fantasy come Dungeons & Dragons, Beasts & Barbarians o L’Unico Anello, giochi horror come Vampiri e Call of Chthulu, giochi di space opera come Traveller o Death Watch, giochi distopici come Cyberpunk 2020 o Paranoia. Abbiamo poi i giochi con ambientazioni realistiche molto diverse fra loro, dalla Seconda Guerra Mondiale di Grey Ranks alla scuola superiore giapponese di Girl X Boy, e il grande insieme dei GDR senza ambientazione prefissata, quali GURPS, Fate o Archipelago. Questa logica è mutuata da prosa, fumetto e cinema, i medium narrativi “puri”, e in una certa misura ha senso, essendo il GDR un medium misto ludico-narrativo… ma è davvero funzionale non tenere in conto l’aspetto ludico?

Somiglianze superficiali

Per rispondere alla mia domanda, vi porterò un esempio concreto. Qualche tempo fa ho giocato con l’amico Dismaster Frane alcune sessioni di Lamentation of the Flame Princess (in breve LotFP), un GDR che ripropone, con rettifiche varie ed eventuali, il regolamento di D&D 1 (a quanto so, un gioco molto, molto diverso da tutte le edizioni successive). Se dovessi descrivere in modo volutamente schematico com’è giocare a LotFP, lo esporrei così:

  1. Ambientazione: ll gioco si svolge in una versione fantasy della Terra del XVII secolo: non solo il mondo è di per sé pericoloso e inospitale, ma in più la magia e le creature fatate esistono e sono, per loro natura, inquientanti e pericolse. I vari supplementi ufficiali (avventure o regole extra) forniscono specifici ambienti o situazioni da portare in gioco – in generale, comunque, il mondo di ogni gruppo dipende dalle avventure che l’Arbitro scrive o acquista.
  2. Soggetto: i giocatori controllano una banda di esploratori tombaroli che vivono di saccheggi (o “recuperi archeologici): sono persone competenti e sopra la media, ma molto fragili rispetto ai pericoli che affrontano.
  3. Creazione dei personaggi: ogni membro del gruppo è connotato dalla sua professione, che gli dà accesso a determinate “risorse” fra loro complementari: il combattente è abbastanza robusto da affrontare e pestare i mostri, lo specialista ha certe capacità tecniche-artigianali (come lo scasso), il mago può aumentare le possibilità di azione altrui con i suoi incantesimi (tipo il camminare sui muri). Inoltre si possono (devono) arruolare PNG mercenari che forniscono “dosi extra” di una certa risorsa, da altre braccia per combattere a un semplice fattorino reggi-torcia.
  4. Sfida e Ricompensa: il gruppo è costantemente svantaggiato rispetto ai pericoli del dungeon, per cui superare indenni gli ostacoli grazie alla propria arguzia gratifica i giocatori. Inoltre, più tesori vengono recuperati più i personaggi fanno esperienza, sbloccando nuove abilità ed, eventualmente, accasandosi.
  5. Interazione con l’ambiente: l’Arbitro di gioco deve descrivere con abbondanti dettagli sensoriali ogni stanza che il gruppo esplora, evidenziando i luoghi e oggetti d’interesse. Starà ai giocatori mettere a frutto le informazioni che i loro personaggi percepiscono, intuendo cosa fare di oggetti misteriosi o come aprire porte bloccate.
  6. Risoluzione dei problemi: tanto gli ostacoli ambientali (porte chiuse e simili) quanto quelli viventi (mostri e guardiani) sono rischiosi da affrontare a muso duro, quindi non si può semplicemente tirare i dadi per smontare o ammazzare qualcosa: viceversa, ogni giocatore deve inventare modi per portarsi in vantaggio (ad esempio colpendo un mostro da molto lontano) o per aggirare integralmente il pericolo (come far scattare una trappola con un’esca, anziché disinnescarla da vicino).
  7. Elementi di story-telling: le persone (vive o morte), la fauna e l’archiettura del dungeon compongono una storia non scritta del dungeon stesso: più lo esplorano e più mettono assieme le informazioni, più i tombaroli scopriranno chi e come l’ha costruito e come le varie presenze si sono stratificate. Al contempo, i successi e i fallimenti del gruppo (in particolare la morte di personaggi principali o di mercenari) e le interazioni con altri esseri senzienti daranno vita a una “cronaca” della spedizione esplorativa.

Ora, invece, descriverò secondo lo stesso schema il gameplay di On Mighty Thews (in breve OMT), un GDR che, come LoftFP, tratta di avventurieri erranti che esplorano luoghi pericolosi in un mondo fantasy, ma adotta una struttura diversa in più punti (per saperne di più, l’ho recensito qui):

  1. Ambientazione: ll gioco si svolge in un mondo fantasy di stampo sword & sorcery: la terra è piena di misteri e pericoli, le persone sono tagliate con l’accetta, esistono magie legate a saperi arcani e a tecnologie perdute. Tutti i giocatori concorrono a creare il mondo, disegnandone assieme la mappa complessiva e i luoghi più iconici.
  2. Soggetto: i giocatori controllano una banda di avventurieri vagabondi che vanno là dove li porta il vento: tutti loro sono persone eccezionali, troppo forti, intelligenti, competenti e fortunate per essere vere.
  3. Creazione dei personaggi: in misura variabile, ogni membro del gruppo è competente in tutti i tre ambiti “professionali” previsti dal gioco: le arti belliche, le arti magiche e le abilità manuali e sociali. A differenziare effettivamente i personaggi sono le rispettive capacità speciali o equipaggiamenti iconici (come una scuola di magia o una spada pregiata) e i rispettivi tratti caratteriali principali (come Pio, Fatalista o Civilizzato).
  4. Sfida e Ricompensa: i personaggi godono di una certa plot armor e sono leggermente più potenti dei loro nemici, dando adito a scene d’azione ad alta spettacolarità e basso rischio; inoltre i giocatori possono determinare la backstory del mondo esterno (anziché lasciarla decidere in toto al GM) e quindi dilettarsi di worldbuilding corale.
  5. Interazione con l’ambiente: ogni volta che il Game Master introduce una nuova location, oggetto o personaggio, deve descriverlo con pochi dettagli mirati: i giocatori, a quel punto, inventeranno al volo altre informazioni che i loro personaggi riconoscono o deducono, attraverso una regola apposita.
  6. Risoluzione dei problemi: tutti gli scontri con pericoli (animati o inanimati, violenti o meno) richiedono automaticamente un tiro di dado, senza possibilità di essere aggirati. Prima di tirare il giocatore deve descrivere in che modo le capacità personali e il carattere del personaggio emergono nelle sue azioni; dopo il tiro, se il personaggio ha successo, deve anche raccontare l’esito positivo di tali azioni. Più il giocatore riesce a chiamare in causa le peculiarità del personaggio, più ha possibilità di successo.
  7. Elementi di story-telling: ogni avventura rappresenta lo svolgimento e la risoluzione di un conflitto fra i protagonisti e un avversario estemporaneo, spesso motivata da un McGuffin – così da emulare i racconti sword & sorcery degli anni ’30. La descrizione “in duo” degli ambienti concorre a questo effetto.

Come potete vedere, le differenze regolistiche fra i due giochi sono notevoli: in uno i personaggi sono fragili e devono giocare d’astuzia, nell’altro sono larger than life (per dirla all’Inglese) e affrontano i pericoli in modo diretto; in uno bisogna muoversi in un ambiente dettagliato per manovrarne gli hotspot, come in un’avventura grafica, nell’altro gli ambienti partono appena abbozzati e prendono forma con momenti di “spiegone”, come in un romanzo; in uno i giocatori si ingegnano con piacere a superare ostacoli, nell’altro “coreografano” con diletto l’atto di superarli (o di non riuscirci e attirare altri guai); in uno gli eventi in gioco non seguono schemi narratologici, nell’altro tali schemi sono cablati nelle regole. Sicuramente la bipartizione GM e giocatori, la dinamica a party e la durata da campagna rappresentano un terreno comune forte, ma certamente il feeling dei due titoli è diverso.

Il primato delle meccaniche

Tiriamo le fila del discorso: in breve, secondo me la sola estetica non basta a determinare il genere di un GDR, perché in questo tipo di giochi le narrazioni interattive (che siano trame pregenerate da scoprire, trame emergenti o altro ancora) sono un prodotto delle meccaniche ludiche: non solo è riduttivo classificare le narrazioni solo in base all’ambientazione (come lo è nei media narrativi puri, del resto), ma è controproducente togliere dall’equazione le differenze meccaniche. Già Lamentation of the Flame Princess e On Mighty Thews hanno meccaniche piuttosto diverse a fronte di uno scheletro simile, ma, se ci limitassimo all’ambientazione, dovremmo associarli a titoli radicalmente diversi: giochi di ruolo competitivi per solo due persone (come S/lay w/Me), giochi senza GM in cui si controlla “a comitato” il mondo esterno al party (come Fall of Magic) e giochi di storie in cui non si controllano personaggi, bensì si osserva a volo d’uccello un’intera civiltà (come A Thousand Years Under The Sun). Il che è come classificare assieme, sotto “giochi sulla II Guerra Mondiale”, un quasi-wargame quale Axis & Allies e un gioco di bluff a squadre come Secret Hitler, oppure un videogioco di “grande strategia” come Hearts of Iron IV e un FPS quale Call of Duty I: una descrizione imprecisa che non aiuta chi cerca un gioco conforme ai propri gusti, bensì scatena dibattiti sterili su come debba essere un “vero” gioco con una certa ambientazione (o, al peggio, una diatriba su cosa sia il Vero Gioco di Ruolo TM e quali i non-giochi per snob/babbei/figli di buone donne/altro).

Ve lo dicono anche le console della mia famiglia: nei media ludici le diatribe di fazione tolgono tempo al gioco!

Per una tassonomia più rigorosa

Sicuramente c’è chi vuole superare questi problemi di classificazione: in ambito anglofono, ad esempio, si distingue fra gioco di ruolo (role-playing game) e gioco di storie (story game) a seconda che i giocatori debbano sempre immedesimarsi nei loro personaggi o debbano comportarsi come registi, controllando tanto il cast quanto le situazioni esterne. Allo stesso modo, non solo si è sdoganata l’esistenza sia di giochi con GM sia di giochi masterless, ma sono più chiare le differenze interne fra le due famiglie: giochi con GM ad avventura lineare, avventura non lineare o trama emergente, giochi GM-less con GM a rotazione oppure con GM diffuso. Di recente, addirittura, ho letto su un gruppo Facebook una tassonomia casalinga che prende quattro coppie di estremi regolistici e colloca i giochi lungo gli spettri conseguenti: meccaniche Astratte o Concrete, Regole rigide o Decisioni discrezionali, materiale di gioco Allestito a monte o Spontaneo, autorità narrative Distribuite o Centralizzate. Una proposta interessante, che però mi sembra adatta a classificazioni “statistiche”, non tanto a descrivere il gamplay concreto e ciò che trasmette agli utenti – che è la funzione ultima dei generi. Da signor nessuno che però ha giocato tanta roba (e vuole continuare a farlo), io non oso creare da zero un elenco di generi: mi limito a prendere spunto dal funzionamento dei generi in altri media per proporvi, tramite “ingegneria a rovescio”, un possibile modo per descrivere le specifiche tecniche dei GDR:

  • Innanzitutto, spiegare l’argomento del gioco, con tre punti:
    1. Estetica, cioè l’aspetto esteriore che calamita l’attenzione: fantasy tolkieniano, cyberpunk, dramma romantico, noir nell’Antica Roma…
    2. Soggetto, ciò che effettivamente si gioca in una partita: fragili tombaroli che ripuliscono dungeon letali; adolescenti paranormali che vivono psicodrammi; civiltà che i giocatori creano, fanno sviluppare e distruggono…
    3. Piacere, le sensazioni gradevoli che una partita ci fa provare: creare il nostro personale anime majokko, secondo i tropi tipici del genere; commuoversi recitando un dramma sull’elaborazione del lutto; combattere mostri in un minigioco tattico e risolvere l’avventura nel macro-gioco generale…
  • In secondo luogo, classificare le meccaniche generali del gioco secondo quattro variabili, ciascuna delle quali ha al suo interno un ampio spettro:
    1. Focalizzazione dei giocatori rispetto ai loro personaggi: gioco di ruolo puro; gioco di storie con personaggi giocanti; gioco di storie con prospettiva a volo d’uccello…
    2. Ripartizione di ruoli: 2 giocatori, 1 GM e 1 PG; 2 giocatori, 2 PG contrapposti; GM e giocatori; masterless a GM rotante; masterless a GM diffuso…
    3. Durata di una partita completa: monosessione da 15 minuti; monosessione da 2 ore; campagna breve; campagna lunga; campagna pluriannuale…
    4. Proporzione fra meccaniche “da tavolo” e meccaniche “da LARP”: regole matematiche complesse con dadi, gettoni e creazione di build; regole matematiche leggere, con statistiche essenziali e tiri di dado secchi; prevalenza di regole inerenti la recitazione e la regia, con poca alea e pochi materiali di gioco; pura recitazione quasi teatrale…
  • In ultimo, descrivere le meccaniche particolari del singolo gioco che lo rendono unico e causano il suo specifico piacere: il combattimento si risolve con un mingioco simil-wargame, in cui contano gittata delle armi e debolezze elementali; il GM ha una grossa riserva di risorse da spendere per comprare problemi, mentre i giocatori devono incassarli o “pararli” spendendo da riserva più piccola; gli ostacoli non vanno affrontati direttamente col tiro di dado, ma risolti a intuito come fossero enigmi per il giocatore…

Come potete vedere, questo schema si basa sul dualismo fra archetipo e originale, fra prima impressione e risultato finale dell’esperienza ludica: vale a dire, sul dualismo che rende utile l’uso dei generi. In particolare, l’estetica e la ripartizione sono ciò che si vede stampato in copertina, mentre soggetto e focalizzazione arrivano poco dopo, appena si sfoglia l’introduzione o si legge bene la quarta di copertina. Le meccaniche salienti e il piacere, invece, sono il cuore di una partita concreta, ciò che, una volta sperimentato, fa dire all’utente che quel titolo merita o meno. In mezzo ci sono la durata del gioco e la tipologia generale di meccaniche, due dati che ineriscono il feeling complessivo di un GDR a monte delle sue specificità, e che fanno da soglia di sbarramento per i curiosi: a seconda della disponibilità di tempo e delle preferenze personali, possono fare la differenza fra il “posso dedicarmici” e il “no, non ne varrebbe la pena”.

In conclusione

Lo ribadisco: quella che ho esposto è una scaletta per descrivere i giochi di ruolo che prende spunto dalla logica dei generi, non una griglia per produrre meccanicamente i generi stessi. Perché un genere si codifichi, dev’essere la cultura ludica popolare a identificare i suoi tratti archetipici e dar loro un nome – già ora i giochi come Lamentation of the Flame Princess sono riconosciuti come un genere a sé, l’Old School Renaissence, ed esiste una nicchia di giochi di storie focalizzati sullo sviluppo storico di civiltà, come Microscope o Downfall. Se questa tendenza continua, sarà sempre più facile riconoscere e apprezzare la grande varietà del medium gioco di ruolo e, di conseguenza, svilupparne appieno le potenzialità. Per parte mia, spero ci si arrivi presto!

Per oggi è tutto gente; buon gioco a tutti!

Di Ivan Lanìa

Bearclaw95, alias Ivan Lanìa, classe 1995, scopre il GDR a 12 anni, ma inizia a praticarlo come si deve a 21; durante il 2016 vince il Game Chef, un concorso internazionale di game design, e con ciò gode dei proverbiali 15 minuti di fama. Grazie a quel momento di visibilità diventa un collaboratore dei designer indipendenti Roberto Grassi (Levity) e Antonio Amato (Mammut RPG), nonché di Storie di Ruolo.

2 risposte su “I generi del Gioco di Ruolo”

Ci avevo pensato, ma nei giochi da tavolo “scopo del gioco” indica per convenzione la condizione di vittoria da conseguire entro le regole del gioco: io invece intendo le sensazioni gradevoli che l’atto di giocare fa provare, e non vorrei che l’uso dello stesso termine fosse fuorviante.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.